Il minerale

pietra focaia

Parte 2 di 4

Molti critici e narratori del vino usano il termine minerale come sinonimo di “pietra focaia”. Credo che il parallelismo fra i due termini sia ormai inappropriato e non ci sia nessuna ragione di utilizzare un termine generico come “minerale”, se si dispone di un termine preciso come “pietra focaia”.
In realtà il valore dato al descrittore “pietra focaia” distingue due filosofie di assaggio e valutazione. Per i narratori è un termine positivo, per gli assaggiatori varietali è fumo negli occhi, sia in senso materiale che metaforico.

Ma procediamo con ordine.

Iniziamo col dire che la pietra focaia non ha odori. Il descrittore appropriato sarebbe “pietra focaia colpita con violenza in un giorno d’autunno”, quando è più facile che generi scintille. La pietra focaia, più usata era la pirite, chimicamente bisolfuro di ferro monomerico, FeS2. Quando viene colpita e fa scintille genera tre composti altamente volatili e perciò odorosi: idrogeno solforato, anidride solforosa, ozono.

Quando un acciaio colpisce violentemente la pietra focaia, i due materiali si scheggiano e i composti che sono sotto la patina superficiale ossidata vengono a contatto con l’ossigeno dell’aria, generando un’ossidazione violentissima, che libera energia in forma di luce. E’ chiaro che il solfuro di ferro si scinde. Il ferro abbandona lo zolfo e passa nella sua forma più ossidata. Lo zolfo rimane ridotto generando idrogeno solforato, che brucia in modo leggermente più lento e produce anidride solforosa. L’ossidazione del ferro è violenta ed incontrollata e può generare anche ozono, ma qui la chimica diventa subatomica ed è un po’ complessa.

L’ozono normalmente si genera ad altissime temperature, propriamente è l’odore del lampo o della scarica elettrica. Difficile descriverlo in modo diverso. Semmai possiamo aggiungere che non dà un odore repulsivo, al contrario di quello degli altri due composti. Esso stesso è un ossidante rapidissimo e nel vino sparisce immediatamente. Riprenderemo questi concetti più tardi.

L’anidride solforosa è un composto odoroso con una soglia di percezione valutata intorno a 0,5ppm, cioè 100 volte inferiore ad un estere. Per fortuna nel vino è presente in quattro forme distinte e quella molecolare, odorosa, è intorno alla soglia di percezione. Ma nessun winelover confonderebbe mai l’odore della solforosa con quello della pietra focaia.

Rimane solo un imputato: l’idrogeno solforato, che ha soglia olfattiva decisamente inferiore a 0,1ppm, molto difficile da valutare con precisione, perché è un composto altamente reattivo che potremmo definire sensorialmente polimorfico. Affinché l’imputato sia colpevole ci vogliono le prove: basta aggiungere un cent americano, quello europeo ha meno rame, ad un vino che ha odore di pietra focaia per rimuovere l’H2S e dimostrarne il comportamento delittuoso.

L’idrogeno solforato è forse il composto olfattivamente più importante del vino. Oggi si conosce in dettaglio la sua genesi biochimica, meno quella chimica e molto meno il suo destino. L’idrogeno solforato tecnologicamente sono le deiezioni dei microrganismi oppure la potenza riduttiva mal gestita dei tannini. La sensazione “pietra focaia” è data da una concentrazione di idrogeno solforato al di sotto della soglia di riconoscimento (in realtà essendo polimorfico cambia odore al variare della concentrazione). E qui le strade dei narratori e degli assaggiatori varietali si dividono. I primi ritengono la pietra focaia un pregio, i secondi un difetto. Onestamente, essendo un odore così frequente i varietalisti lasciano giocare i narratori su questa ambiguità.

Però quando “pietra focaia” diventa “minerale” e assume un valore laudativo assoluto, sorgono dubbi che frotte di persone in malafede si divertano a prendere in giro i neofiti.

Con ciò, sia ben chiaro, non intendo dire che tutti i narratori che usano il sinonimo “minerale” al posto di “pietra focaia” siano in malafede, anzi. Però, un po’ più di precisione a volte non guasta.

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